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Rimediare

Se un mese fa mi avessero detto che sarei rimasta a casa per 30 giorni, probabilmente mi sarei messa ad urlare.
Un mese esatto fa la mia vita, come quella di chiunque di lì a poco, sarebbe cambiata radicalmente, c'è chi, addirittura, azzarda per sempre.
Trenta giorni, tondi tondi, fa mi veniva chiesto, in via precauzionale e lungimirante, dai miei datori di lavoro di "lavorare da casa", perché da dove arrivo io "non si sa mai".

La prima settimana è stata rilassante, alzarsi alle 09 per iniziare a lavorare alle 10, non avere più i minuti contati per prepararmi e correre a prendere l'autobus, non essere obbligata a vedere le stesse facce di ogni giorno, avere il pasto caldo anche a pranzo, il pomeriggio riuscire a cogliere gli ultimi momenti del giorno, i miei preferiti, per camminare nei campi, nel verde, la sera avere forze ed ore davanti a me per rivedere amici che solitamente non ho modo di frequentare come vorrei; la prima settimana nessuno ripeteva, in modo ossessivo, state a casa.

La seconda settimana è stata divertente, lavorare da casa mi fa sentire più performante, mi fa apprezzare anche molto di più la possibilità di avere uno spazio condiviso, un ufficio, al quale, potendo scegliere, non rinuncerei per almeno metà settimana; mi insegna a ricavare meglio i miei spazi e dedicarli ad un obiettivo, vorrei imparare a correre, giusto il giro dell'isolato, nulla di più ed allora un'oretta al giorno la dedico a questo piccolo impegno; mi concentro sul perfetto orario del tramonto e, meteo e lavoro permettendo, cerco di non perdermene uno; la sera la dedico sempre agli amici, cene fra pochi, senza troppe pretese, solo con la voglia di stare insieme; la seconda settimana  però si inizia a fare insistente il coro di chi ci invita a stare a casa.

La terza settimana è stata preoccupante, il quadro sempre più chiaro, definito, eloquente, non si esce più, è pericoloso per se stessi e per gli altri; il lavoro aiuta durante il giorno a riconoscere scorci di "normalità" ma adesso, nei momenti di pausa, c'è tutto il tempo per informarsi, quasi morbosamente, e per pensare che, ad esempio, non sai per quanto tempo non potrai vedere le persone che ami oppure che non sai se sia solo questione di tempo prima di sapere che qualcuno che ami ci sia finito dentro. Capisci che hai tanto tempo per poter fare "altro", quello che non hai mai saputo o voluto fare: cucinare, stirare, comprare nuovamente un libro (on line), fare gli addominali, le video chiamate, ricominciare a cantare e così via...ma che non c'è più spazio per fare "il resto", quello che sapresti e vorresti fare: una camminata all'aria aperta, un viaggio, andare a cena fuori, abbracciare i tuoi cari, guidare la macchina, andare al cinema etc...

Ed eccoci qua, alla quarta settimana di onorata quarantena, solo la seconda di clausura totale, eccezion fatta per andare a buttare la spazzatura, scendere in box a prendere le provviste, un paio di spese a km 1 da casa, dal fruttivendolo egiziano...con le sirene delle ambulanze ed i bollettini atroci delle persone ammalate e decedute a fare da sottofondo, come una nenia ossessiva che non esce dalla testa, con il governo che continua ad emettere misure sempre più aspre, certamente necessarie, con il tuo lavoro e quello degli altri che non sai quando e come riprenderà, non dico "se" perché, nonostante tutto, rimango ottimista e lo sconforto non riesce a catturarmi.
Capisco che devo dominare il tempo, che non arretrerò di un centimetro, che devo cavarmela con quello che so e che ho e mi scopro, in maniera stonata ma consapevole, una persona fortunata,  mi scopro relativamente forte, mi scopro affamata di vita, cerco di riflettere e limare i miei limiti (qui si che ce ne passo di tempo!) e mi rimetto anche a scrivere...so di essere arrugginita, che ho perso questa consuetudine e so che ho sbagliato, che non dovevo permetterlo ma che ho tempo e modo per rimediare.

Rimediare, da questa esperienza sto imparando che voglio rimediare a tutto il tempo perso, sprecato, lasciato nel cassetto, voglio rimediare alle mancanze che ho avuto nei miei confronti e verso gli altri.








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